Gabrielle Cocò Chanel: un’icona della moda e del costume del ‘900

Lo stile Chanel non è per tutte: lo si può amare o odiare, ma Cocò non è solamente questo.

Per me Chanel non è solo un brand che significa “Tubino nero “ o “Tailler in tweed”: Gabrielle rappresenta un’icona della moda e del costume del suo tempo.

Attraverso il suo lavoro e il modo di vestire, è riuscita a trasmettere alle donne l’importanza di essere autonome, eleganti e libere allo stesso tempo, che essere femminili non significasse essere costrette all’interno di abiti importabili e scomodi, ma – al contrario – fosse sentirsi a proprio agio in essi.

Il suo esempio è stato d’ispirazione per tante altre donne e le ha aiutate nel percorso di emancipazione: ecco chi è per me Gabrielle Cocò Chanel.

Conosciamola meglio

Gabrielle Chanel nacque il 19 agosto del 1883 a Saumur, in Francia.

La sua fu un’infanzia travagliata: la morte precoce della madre (alla sola età di trentatré anni), l’abbandono da parte del padre della famiglia composta da cinque figli e la crescita in orfanotrofio, segnarono profondamente la personalità – e di conseguenza lo stile – di Gabrielle.

Imparò sin da piccola l’arte dell’ “arrangiarsi da sola”, e questo sarà un tratto che caratterizzerà tutta la sua esistenza.

Passò qualche anno della sua vita al fianco di Etienne Balsan e successivamente molti altri anni insieme ad Arthur Edward Capel – l’uomo della sua vita, con il quale non avrà mai una relazione stabile purtroppo –  entrambi dell’ambiente borghese con la passione per l’equitazione, che le fecero scoprire il mondo delle scuderie e delle corse di cavalli.

In questo frangente, Gabrielle entrò in contatto con l’abbigliamento maschile, in particolare quello delle uniformi, volte a dare un segno di riconoscimento alle persone che le indossavano, ma soprattutto comode e pensate per i movimenti da fare.

Ed è proprio in questi anni che Cocò iniziò a vestirsi da uomo, utilizzando e modificando abiti dello stesso Balsan, andando contro ogni pregiudizio e schema imposto dalla società.

“Mi domando perché mi sono lanciata in questo mestiere; perché vi figuro come rivoluzionaria? Non fu per creare quello che mi piaceva, ma proprio, dapprima e anzitutto, per far passare di moda quello che non mi piaceva.”

La definizione del suo stile: non solo vestiti, ma valori veicolati da essi

A Gabrielle non piaceva affatto il ruolo che la moda conferiva alle donne: una femme fatale che non sapeva fare nulla autonomamente, costantemente bisognosa delle cure e della protezione di un uomo.

Lei, che da sempre aveva saputo arrangiarsi da sola, non sopportava l’idea di essere inglobata in questa categoria.

Iniziò quindi a definire il suo stile, modificando cappelli, e la cosa funzionò così bene che molte donne nobili si interessarono ai suoi lavori: toglieva elementi decorativi troppo pacchiani e ne alleggeriva le forme, rendendoli più portabili.

Successivamente cominciò a confezionare vestiti, con l’aiuto di sarte e modelliste, sempre mantenendo la sua identità: le donne che indossavano capi Chanel erano donne emancipate, che potevano camminare comode e agili nei loro abiti, e non avevano bisogno di una cameriera per vestirsi né di un uomo per salire in automobile. Erano donne autonome, proprio come lei.

Cocò dunque odiava tutto ciò che costringeva il corpo femminile e lo rendeva goffo, come corpetti e lunghe gonne pesantissime. Fu in questo periodo che scoprì il jersey e, stravolgendo le tradizionali convenzioni sociali, lo utilizzò per la sua linea d’abbigliamento. I capi realizzati in jersey erano comodi, versatili, eleganti, semplici ma mai sciatti: la combinazione perfetta per lo stile di Cocò, che diceva “Prima di uscire, guardati allo specchio e levati qualcosa”.

E chi – se non lei – poteva dunque inventare e rendere celebre il famosissimo tubino nero (o “Petite robe noir”)?

Nel 1926 inizia dunque la storia del Little Black Dress, con l’idea di creare un abito comodo e versatile, adatto al fisico di ogni donna e sfruttabile in ogni occasione: dalle più formali alla quotidianità. Gabrielle riuscì a dare vita a questo abito, che Vogue definì “una sorta di uniforme per ogni tipo di donna, a prescindere dal gusto e dallo stile personale”.

Il celebre tailleur Chanel

Dobbiamo aspettare il secondo dopoguerra (più precisamente gli anni 1953-1954) per sentir finalmente parlare del suo celebre tailleur.

Anche in questo caso il suo intento fu quello di creare una “uniforme” perfetta per la donna, che fosse elegante e duttile allo stesso tempo, che garantisse il movimento del corpo mantenendo una forte carica di femminilità. Utilizzò tante stoffe diverse per realizzarla, ma la versione che passò alla storia fu quella in tweed: un morbido e comodo tessuto a trame larghe, con fili di fibre e torsioni differenti.

Il completo era composto da tre pezzi: una giacca senza colletto, una gonna o un vestito senza maniche e una blusa.

Per realizzare la blusa si utilizzava della seta, che veniva impiegata anche per foderare tutto il tailleur in tweed, in modo da comporre un insieme. Il tweed è un materiale molle e per evitare che si deformasse, fodera e tessuto facevano corpo unico: veniva realizzata un’impuntura caratteristica per tenerli insieme e tra di essi veniva applicato uno strato di organza in seta, che costituiva una sorta di imbottitura. In questo modo si riusciva a dare corpo al capo senza irrigidirlo, mantenendo la morbidezza del tweed.

Per conservare la caduta a piombo di questi materiali estremamente leggeri (e quindi piacevoli da portare), sul fondo della giacca, della gonna o dell’abito veniva piazzata una catenella per garantire il giusto appiombo. Questa catenella diventerà uno dei simboli del brand Chanel, ancora oggi utilizzati anche come decorazioni esterne!

Le rifiniture caratteristiche della giacca erano ottenute sfilacciando il tweed: anche questi diventeranno un tratto distintivo dello stile Chanel.

Come è fatta una giacca Chanel?

Internamente, una giacca Chanel nasconde una lavorazione lunga e minuziosa.

La prima cosa da fare è un grande lavoro con il ferro da stiro: le pinces del tweed, ossia le “riprese” che vengono fatte sul tessuto per poterlo sagomare sul corpo, vengono assorbite (e non cucite!) utilizzando il vapore ed il calore del ferro. È possibile fare questo poiché le trame del tweed sono larghe ed è semplice tirarne i fili. Ma perché farlo? Per evitare spessori dovuti alle cuciture e alla grossezza del tessuto, mantenendo la forma femminile e aggraziata del capo.

Successivamente il tweed sagomato con il ferro da stiro viene posto su dell’organza di seta, un tessuto molto sottile ma rigido, e viene fissato ad essa con dei punti a mano invisibili dall’esterno. In questo modo si dà consistenza al capo, senza irrigidirlo troppo.

Si cuce poi il tweed unito all’organza assieme alla fodera in seta, con dei sottopunti a mano.

Infine, sempre con dei punti a mano, si piazza una catenella sul fondo della giacca (e se necessario anche delle maniche) per garantirne un appiombo perfetto.

La moda passa, lo stile resta”: Coco Chanel come ispirazione.

Cosa resta di Gabrielle?

La sua è stata un’esistenza piena di sofferenze (lutti, delusioni amorose, separazioni, … ) che sicuramente hanno contribuito a definire la sua personalità, talvolta controversa: era una donna estremamente dedita al lavoro e molto perfezionista – sono noti gli episodi in cui appuntasse e cucisse le maniche delle giacche direttamente sulle modelle, costringendo queste ultime a stare in piedi così tante ore da farle svenire!

Ma quello che l’ha resa un’ispirazione da seguire è molto più di una serie di abiti: Cocò, attraverso il suo modo di vestire, offrì alle donne un modo diverso di vivere e pensare. Con il suo stile ha saputo rendere ogni donna bella, libera, elegante, indipendente: ha abbattuto convenzioni antiche, liberato le donne da costrizioni e le ha messe a proprio agio negli abiti che indossavano. Credo che questo sia abbastanza per definirla una donna rivoluzionaria e geniale.

Spesso la moda viene associata a qualcosa di frivolo e superfluo, ma l’evoluzione di una società passa anche attraverso il costume, e l’opera di Cocò Chanel ne è la prova.

Morì il 10 gennaio 1971, all’età di ottantotto anni, nell’unico giorno che una lavoratrice assidua come lei poteva concedersi: una domenica.

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